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Lui ci chiamava “gli Argonàftes”, la ciurma di Argo, per quella istintiva abitudine che hanno i Greci di reiscrivere il presente entro gli schemi dei loro miti immortali, anche se in questo caso lo spunto era offerto dal nome della nostra Casa editrice, tanto da ritenere addirittura ovvio che il suo Giasone s’imbarcasse sul nostro vecchio legno per attraversare i mari d’Italia. Come tutti, avevo scoperto Vassilikòs al cinema, grazie alla pellicola di Costa-Gavràs, che tradusse in immagini di straordinario successo le pagine di un romanzo dello scrittore di Kavàla. Poi vennero i colonnelli e l’autore di Z, fortunatamente all’estero al momento del golpe, divenne uno dei pochi simboli liberi, in giro per l’Europa, a tenere alta la fiaccola della lotta alla giunta di Papadòpulos.

A metterci in contatto, ben più tardi, fu l’indimenticabile Tino Sangiglio che ebbe l’idea di proporre al pubblico italiano un Vassilikòs inedito, un Vassilikòs poeta, la cui produzione andava collocata giustamente, non con un ruolo marginale, accanto alla grande produzione in prosa. Nacque così Poesie dall’esilio, curato da Sangiglio. Il titolo piacque molto al maestro che apprezzò in particolare la copertina ricavata da un dipinto di De Chirico. Ci siamo ritrovati un paio d’anni fa, appunto grazie a Giasone (Il racconto di Giasone e Ricordi dal tempo di Chirone). L’elegante traduzione di Gilda Tentorio della felicissima opera prima di Vassilikòs, viene a chiudere, come in una sorta di ring-composition, un lunghissimo, fortunato percorso: è stato un continuo proporre ai miti di sempre i drammi della modernità: le perplesse, spesso paralizzanti risposte paiono poter solo eternizzare l’angoscia dell’uomo contemporaneo. Di questo difficile, talvolta angosciante peregrinare Vassilikòs è stato testimone finissimo e vigile, compagno di strada che ci ha confortato con il suo sorriso e la sua ironia. Buon proseguimento, Maestro.