Descrizione
Responsabilità e riflessività nella riabilitazione della tossicodipendenza.
La rappresentazione più comune della tossicodipendenza ha un tono fortemente moralizzante: l’uso di sostanze è visto come un vizio, e l’incapacità di uscirne come assenza di volontà. Il tossicodipendente è forse la persona antisociale per eccellenza, distruttiva e autodistruttiva nelle sue relazioni, non integrata né integrabile nel tessuto economico e sociale, potenzialmente pericolosa. Questa rappresentazione moralizzante non caratterizza soltanto il discorso pubblico sulla tossicodipendenza – permea anche le pratiche terapeutiche delle istituzioni, in particolare delle comunità, dove la riabilitazione avviene primariamente attraverso percorsi socializzati che hanno come obiettivo quello di «cambiare la persona». Osservandoli da vicino, tuttavia, ci accorgiamo che in questi percorsi, proprio per la loro componente morale, il senso e il significato di «riabilitazione» si trasformano, plasmati non soltanto dai professionisti ma dalle stesse persone tossicodipendenti. Questo testo, frutto di una ricerca etnografica condotta all’interno di una comunità per pazienti in doppia diagnosi, cerca di gettare luce su tali trasformazioni, e sul senso che esse attribuiscono ai racconti e alle esperienze di dipendenza e di riabilitazione.